L'accento tonico nelle parole latine

A chi parla l'Italiano capita abbastanza spesso, nel pronunciare qualche parola nella lingua di Cicerone, di indovinare la collocazione dell'accento tonico senza incorrere in errore. Nella maggior parte dei casi anche la posizione dell'accento, come gran parte del patrimonio lessicale, è passata dal Latino all'Italiano senza modifiche. Ma dai tempi di Cicerone sono trascorsi oltre 2000 anni. Non c'è quindi da meravigliarsi se in alcuni casi l'analogia lessicale tra le due lingue costituisce un falso aiuto. Oltre a ciò bisogna tener presente che alcune parole del Latino non sono giunte fino all'Italiano e quindi l'orecchio non ci può aiutare a indovinare la posizione del loro accento.

Fortunatamente, almeno in teoria, le norme che regolano la collocazione dell'accento tonico nelle parole latine sono estremamente semplici, certamente molto più semplici di quelle del Greco. Va però ricordato che, nella scrittura attuale, il Greco presenta rispetto al Latino il vantaggio di segnare l'accento su tutte le parole, escluse le enclitiche e le proclitiche, prive per definizione di accento proprio. Il Latino non prevede invece nessun segno grafico per indicare la posizione dell'accento, il che rende particolarmente opportuna la conoscenza delle poche e semplici regole che determinano la collocazione dell'accento nelle parole.

Naturalmente le parole monosillabiche sono fornite di un unico accento sull'unica sillaba di cui sono composte.

• Le parole composte di due sillabe hanno sempre l'accento sulla prima o penultima sillaba. Ecco alcuni esempi:

Nascondi trattinia-qua, bel-lum, cla-rus, cor-pus, fe-ro, ge-nus, ho-mo, lau-do, lu-na, mag-nus, pos-sum, si-bi, vi-num

• Le parole composte di più di due sillabe seguono la cosiddetta regola della penultima, nel senso che sarà la quantità o durata della penultima sillaba a determinare la posizione dell'accento. In particolare:

• l'accento tonico della parola cade sulla penultima sillaba se essa è lunga. Esempi:

Nascondi trattini♫ au-dī-re, for-tū-na, fu-ē-runt, ha-bē-bam, lau-dā-re, mo-nē-re, na-tū-ra, om-nī-no, ra-ti-ō-nem, stu-di-ō-sus, vi-dē-tur

• l'accento tonico cade sulla terzultima sillaba se la penultima è breve. Esempi:

Nascondi trattinia-nĭ-mus, ci-vĭ-tas, con-sti-tu-ĕr-am, di-cĕ-re, fu-ĕ-rant, ho-mĭ-nes, ma-xĭ-mus, om-nĭ-bus, op-pĭ-dum, si-mĭ-lis, tem-pŏ-ris

Qualche precisazione:

  1. in Latino l'accento non cade mai prima della terzultima sillaba;
  2. allo scopo di stabilire la posizione dell'accento nelle parole composte di 3 o più sillabe non è necessario conoscere la quantità o durata né dell'ultima né della terzultima sillaba, ma solo della penultima.

Nella normale grafia dei testi non sono indicati i segni di quantità della penultima sillaba; negli esempi proposti i segni sono stati collocati solo per scopo esplicativo. Fortunatamente i vocabolari indicano normalmente il segno di quantità sulle diverse sillabe e risolvono possibili dubbi non solo in vista di una corretta pronuncia degli accenti, ma anche allo scopo di facilitare l'analisi prosodica dei testi poetici.

Qualche indicazione di carattere generale può comunque evitare in molti casi la consultazione del vocabolario:

  1. la vocale tematica dei verbi della 1a coniugazione è costituita da -ā- lunga; es. laud-āre;
  2. la vocale tematica dei verbi della 2a coniugazione è costituita da -ē- lunga; es. mon-ēre;
  3. la vocale tematica dei verbi della 3a coniugazione è costituita da -ĕ- breve; es. leg-ĕre;
  4. anche la vocale tematica dei verbi della 3a coniugazione in -io è costituita da -ĕ- breve; es.: da facio > fac-ĕre;
  5. la vocale tematica dei verbi della 4a coniugazione è costituita da -ī- lunga; es. aud-īre.

Si ricordi infine che la desinenza della 3a persona plurale del perfetto indicativo (-ērunt) determina una penultima lunga e in quanto tale accentata. La desinenza originaria, nel latino letterario, era -ēre, frequente sia in prosa (es. Tacito) sia in poesia anche in età classica. La desinenza del sermo era invece -ĕrunt con penultima breve. Proprio da questa forma del sermo prende origine l'accento italiano della 3a persona plurale del passato remoto (es. da fecĕrunt > fécero). Molto rara, e quasi sempre imposta da esigenze metriche, la desinenza -ĕrunt nella poesia di età classica.

Esempio:

♫ cūm sĕmĕl īnstĭtĕrūnt vēstīgĭă cērtă vĭāī. Lucr. I 406